Pipistrelli negli ambienti forestali
I RUOLI DEGLI AMBIENTI FORESTALI PER I PIPISTRELLI (top)
Gli ambienti forestali svolgono tre tipi di funzioni per i nostri pipistrelli: offrono opportunità di
rifugio, "producono" prede e sono elementi di riferimento, nel paesaggio, che gli esemplari seguono nei loro
spostamenti.
La funzione di rifugio è connessa alla presenza di alberi adatti ad
accogliere pipistrelli in riposo diurno, durante il periodo del letargo invernale e nelle diverse fasi del ciclo
riproduttivo: l'accoppiamento, il parto e l'allevamento della prole.
Gli alberi idonei sono quelli con cavità o altri interstizi: nidi di picchio abbandonati, gallerie scavate
nel legno dalle larve degli insetti xilofagi di taglia maggiore, lembi di corteccia sollevati, fessure aperte nei
rami o nei fusti da eventi traumatici e successivamente modellate dall’azione opposta degli agenti
decompositori (funghi) e dei tessuti cicatriziali della pianta.
Parte di questi rifugi sono associati a esemplari arborei vivi, parte a piante in deperimento o addirittura
morte, com'è prevalentemente il caso delle cortecce sollevate.
Le specie di chirotteri che frequentano i rifugi arborei sono numerose. Per alcune gli alberi rappresentano
rifugi obbligati, il cui ruolo, lungo l'intero corso dell'anno, non può essere svolto o solo molto raramente
viene svolto da altre tipologie di rifugi (grotte, edifici). Fra di esse vi sono le specie del genere
Nyctalus: nottola di Leisler, nottola comune e nottola gigante. Per altre specie, come il vespertilio di
Bechstein e il barbastello, che utilizzano significativamente le cavità sotterranee per l’ibernazione,
i rifugi arborei rappresentano la scelta di gran lunga preferenziale lungo il resto dell’anno.
La tutela degli alberi-rifugio ha per tali chirotteri importanza vitale ed è necessario che il loro numero
nell'ambiente sia sufficiente. Per varie ragioni (funzione antipredatoria, esigenze microclimatiche, competizione
con altri animali che usano le cavità arboree, adattamento al fatto che determinati rifugi arborei rimangono
disponibili nell’ambiente per periodi brevi, ecc.), i pipistrelli arboricoli cambiano frequentemente il
loro rifugio. In estate possono farlo anche giornalmente, ma periodicamente tornano a utilizzare ciascun
albero-rifugio. Tale fenomeno è denominato roost switching.
Fra i nostri ecosistemi terrestri, gli ambienti forestali rappresentano quelli che producono la maggior
quantità e diversità di invertebrati e, conseguentemente, rivestono per i chirotteri
un’importantissima funzione alimentare.
Alcune specie cacciano direttamente in bosco: il vespertilio di Bechstein, il vespertilio di Natterer e
l'orecchione comune raccolgono spesso le prede, come ragni e farfalle, mentre sono posate sulla vegetazione; il
barbastello e il rinolofo minore catturano piccole falene e ditteri volando negli spazi aerei liberi fra gli
strati vegetazionali; il vespertilio maggiore esplora le aree con sottobosco scarso, cercando carabi presso il
suolo. Altri chirotteri sfruttano le prede prodotte dalla foresta cacciando negli spazi aerei sopra la volta
arborea, come fa la nottola di Leisler, o, come il rinolofo maggiore, lungo i margini forestali e le radure.
Gli ambienti forestali rivestono funzione ai fini degli spostamenti dei
chirotteri. I pipistrelli non amano attraversare gli spazi aperti e preferiscono volare costeggiando i margini
forestali o gli elementi del paesaggio strutturalmente simili, come siepi alte e filari arborei. Ciò avviene
sia nell'ambito degli spostamenti giornalieri, ad esempio fra i siti di rifugio e le aree dove avviene
l’alimentazione, sia in quelli stagionali, fra territori di svernamento ed estivi. Va sottolineato, in
particolare, il significato dei boschi che costeggiano i fiumi, ultimi relitti delle foreste planiziali europee,
per le specie che effettuano migrazioni a lungo raggio, come la nottola comune, la nottola di Leisler e il
pipistrello di Nathusius.
LE ALTERAZIONI DEGLI AMBIENTI FORESTALI CHE PREGIUDICANO I PIPISTRELLI (top)
Perdita della funzione di rifugio
Fra le azioni antropiche che interessano gli ambienti forestali, determinando la perdita delle funzioni che essi
svolgono nei confronti dei pipistrelli, vi è la rimozione degli alberi idonei al rifugio nell’ambito
di interventi selvicolturali certamente non attenti al rispetto dei valori naturali e della funzionalità
ecologica. Spesso si tratta di piante morte: la loro rimozione è stata per lungo tempo considerata
positivamente e ancora oggi si stenta a tutelarle a causa della radicata convinzione che siano elementi superflui
o addirittura dannosi (serbatoio di patogeni) per l’ecosistema: al contrario, l’albero morto è
un substrato su cui trovano rifugio e alimento moltissimi organismi viventi (licheni, funghi, insetti,
chirotteri, uccelli nidificanti, ecc.), che contribuiscono a formare comunità biologiche ricche e
diversificate e, conseguentemente, a preservare gli equilibri dell’ecosistema.
Occorre per altro riconoscere che anche le pratiche selvicolturali più rispettose limitano la
disponibilità dei rifugi utilizzabili dai chirotteri. E’ accertato che la presenza di cavità
arboree aumenta con l’invecchiare degli alberi; si vedano, ad esempio: Dufour, 2003 (Étude de
l’influence du bois mort sur l’avifaune cavernicole en forêt feuillue. Mémoire de fin
d’études, FUSAGx), relativo a querceti e faggete della Vallonia, e Ranius et al., 2009 (Forest
Ecology and Management, 257: 303-310), riferito specificamente alla farnia. Anche nelle situazioni
“migliori” il taglio interviene molto prima dell’età potenzialmente raggiungibile
dall’albero: così la maturità di taglio stabilita per la farnia nella normativa della Regione
Lombardia, fra le più restrittive in Italia, è 90 anni, ma una farnia potrebbe vivere 900-1000 anni!
Perdita della funzione alimentare
La quantità e la qualità degli invertebrati prodotti da un ambiente forestale dipende da vari fattori,
fra i quali ha importanza fondamentale la composizione floristica, in particolare quella delle specie arboree,
che costituiscono il substrato su cui si sviluppano gran parte di essi. Quando le specie arboree proprie della
flora del luogo vengono sostituite con altre, estranee a tale flora, si registra un forte impoverimento
dell’entomofauna. A chi volesse approfondire questo aspetto segnaliamo il lavoro di Kennedy e Southwood
(1984; J. Animal Ecology, 53: 455-478), relativo alle specie di insetti fitofagi e acari associate ad alberi e
arbusti in Gran Bretagna (le specie autoctone dei generi Salix e Quercus ospitano rispettivamente
450 e 423 specie associate; l’alloctona Robinia pseudoacacia ne ospita 2) e il contributo di Ammer e
Schubert (1991; European Journal of Forest Research, 110 (1): 149-157), sui coleotteri xilobionti della Germania
(al primo posto le specie autoctone del genere Quercus con circa 900 specie associate; le specie alloctone
dei generi Robinia e Platanus sono definite “sterili”).
Attraverso l’introduzione di specie alloctone, l’uomo ha alterato vaste aree forestali, talora
volontariamente, richiamandosi a finalità di produzione che avrebbero dovuto più saggiamente essere
perseguite utilizzando specie locali, talora involontariamente, a causa della diffusione spontanea di specie
esotiche coltivate.
Tale situazione rischia oggi di essere aggravata dagli effetti del riscaldamento globale, indiziato di minacciare
la conservazione di molte specie della nostra flora, fra le quali la farnia, specie arborea dominante dei nostri
ambienti forestali di pianura. Negli ultimi anni sono state registrate preoccupanti morie degli esemplari
appartenenti a tali querce, sempre più rare all’interno di ambienti sempre più caratterizzati
dalla presenza di specie estranee che tendono a prendere il sopravvento.
Oltre che dalle specie presenti, la ricchezza dell’entomofauna di un ambiente forestale dipende dalle
caratteristiche strutturali del medesimo. Nelle foreste naturali lo sviluppo verticale e orizzontale degli strati
vegetazionali è assai complesso e al suolo è presente abbondante materiale legnoso in decomposizione.
Ciò garantisce agli invertebrati microhabitat diversificati in cui svolgere le varie fasi dei propri cicli
biologici. Particolarmente importante l’ultimo elemento citato, la necromassa legnosa, la cui abbondanza
condiziona in proporzione determinante la complessiva biodiversità forestale (sull’argomento si veda,
ad esempio, la sintesi di Lonsdale et al., 2008; Eur. J. Forest Res., 127: 1-22).
Le cause di alterazione della struttura degli ambienti forestali sono molteplici, comprendendo il taglio,
l’incendio e il pascolamento di bestiame domestico in bosco. Da stigmatizzare, in particolare, quanto
ecologicamente negative siano le cosiddette pratiche di “pulizia” del sottobosco ossia la rimozione
degli strati vegetazionali bassi e l’asportazione della necromassa legnosa (rimozione ramaglie ecc.):
entrambe determinano impoverimento biologico nel breve e medio termine e la seconda azione è altresì
causa di alterazioni gravi, connesse all’impoverimento del suolo, percepibili in tempi più lunghi.
Perdita di tutte le funzioni dell’ambiente forestale
Se l’ambiente forestale viene cancellato, vengono meno tutte le funzioni che lo stesso presenta nei
confronti dei pipistrelli: per il rifugio, l’alimentazione e ai fini degli spostamenti.
La sensibilità delle diverse specie di chirotteri alla deforestazione è variabile, essendo maggiore
nelle specie che più sono legate, per una o più funzioni biologiche, alle foreste. La specie più
emblematica in tal senso è il vespertilio di Bechstein, che dipende dall’ambiente forestale sia per
l’alimentazione che per il rifugio e ha il suo habitat ottimale nelle foreste a elevato grado di
naturalità. Dai resti ossei rinvenuti nei sedimenti delle grotte, in varie parti d’Europa, sappiamo
che fino a circa 7000 anni fa tale specie era comune (in molti casi risulta la specie in assoluto più
frequente), mentre oggi è divenuta estremamente rara.
MISURE DI GESTIONE FORESTALE ATTENTE ALLA CONSERVAZIONE DEI PIPISTRELLI (top)
La conservazione dei chirotteri non può prescindere dalla conservazione di ambienti forestali con
caratteristiche di naturalità.
Nella pianificazione della gestione forestale, occorre operare al fine di salvaguardare
e incrementare la superficie riferibile a formazioni di età il più possibile elevata,
soprattutto a bassa altitudine: le foreste delle pianure e delle parti inferiori dei rilievi sono quelle che
hanno subito maggiormente l’impatto antropico ed il fatto che la maggior parte dei chirotteri prediliga le
basse altitudini aggrava le conseguenze del fenomeno. Obiettivo gestionale fondamentale deve essere la
ricostituzione di comunità biologiche ricche e diversificate e, a tale fine, è importante che le specie
legnose presenti siano proprie della flora del luogo, che la struttura vegetazionale sia complessa, elevata la
quantità di necromassa al suolo e la disponibilità di rifugi arborei (cavitazioni quali nidi di picchio
e gallerie di grossi insetti xilofagi, fessure causate da agenti atmosferici o altri eventi traumatici, lembi di
corteccia sollevata).
Tutto ciò è coerente con l’obiettivo di garantire “sostenibilità” alla gestione
forestale, fatto proprio anche dall’Italia, che si è impegnata a rispettare i principi e a
implementare le Risoluzioni concordati a livello pan-europeo nell’ambito delle Conferenze Ministeriali
sulla protezione delle foreste in Europa (la gestione forestale deve essere finalizzata “a conservare
biodiversità, produttività, capacita’ di rigenerazione e vitalitá delle foreste, in modo
da garantire, ora e in futuro, le loro funzioni ecologiche, economiche e sociali, a livello locale, nazionale e
globale, e attuata in modo da non arrecare danno agli altri ecosistemi”, Risoluzione H1, Helsinki,
1993).
Accanto all’azione di conservazione di intere aree forestali (considerate in tutte le loro componenti), ha
altresì rilevanza la tutela di elementi specifici e particolarmente importanti dell’ecosistema
forestale, da attuarsi estesamente, in tutte le formazioni, comprese quelle più intensamente utilizzate
dall’uomo. Al fine del mantenimento e dell’incremento di elementi microambientali favorevoli ai
pipistrelli, nell’occasione della stesura di un nuovo Regolamento forestale, il CRC ha proposto alla
Regione Piemonte l’introduzione di disposizioni affinchè in tutti i tipi di
ambienti forestali venga individuato e rilasciato all’invecchiamento,
alla morte e al decadimento naturale, un numero sufficiente di esemplari arborei, scelti con
l’obiettivo di conservazione della chirotterofauna e, più in generale, della biodiversità.
L’articolato è altresì finalizzato ad adempiere alla disposizione sancita all’art. 6, punto
3, del D. Legisl. 227/2001: “Le regioni, in accordo con i principi di salvaguardia della
biodiversità, con particolare riferimento alla conservazione delle specie dipendenti dalle necromasse
legnose, favoriscono il rilascio in bosco di alberi da destinare all'invecchiamento a tempo
indefinito.”.
Si riepilogano sinteticamente le motivazioni ecologiche alla base della proposta
formulata.
- La selezione degli alberi da rilasciare si basa sulle seguenti caratteristiche: dimensioni cospicue (si tratta
di alberi che offrono con maggior probabilità cavità e altri potenziali rifugi); presenza di
cavità e altri potenziali rifugi (gli alberi che li presentano sono potenzialmente rilevanti per più
specie; fra i diversi tipi di potenziali rifugi viene data priorità di selezione ai nidi dei picchi, in
quanto più durevoli e rilevanti per un maggior numero di specie faunistiche); appartenenza alla flora del
luogo, con priorità per le specie che possono accogliere una maggior biodiversità (per tale
motivo al castagno è data una bassa priorità di scelta: è un’entità caratterizzata da
scarsa entomofauna associata ed è stata talmente favorita dall’uomo, che la sua appartenenza alla
flora “propria del luogo” risulta spesso dubbia o comunque impossibile da accertare); tempi di
accrescimento lunghi (le specie longeve sono in proporzione quelle più danneggiate dai turni di gestione).
Possono essere selezionati anche alberi morti: anche se alla fine tutti gli esemplari rilasciati moriranno,
occorre infatti tener conto dell’attuale carenza di necromassa nei boschi gestiti e adoperarsi per
incrementarne la quantità.
- Nell’individuazione del numero minimo di alberi da rilasciare (ovviamente più se ne rilascia e
meglio è!) si è cercato di tener conto sia della sensibilità alla frammentazione forestale degli
organismi stenoeci forestali caratterizzati da minor capacità di dispersione (in certi gruppi di funghi
micorrizici, polipori, briofite e insetti saproxilici è compresa fra 30 e 100 m), sia delle esigenze di
disponibilità di rifugi dei chirotteri (sulla base delle esaurienti indagini condotte sulla chirotterofauna
forestale in Germania è stato valutato che un ambiente forestale debba fornire permanentemente 25-30 rifugi
arborei per ettaro, condizione che si realizza con la presenza media di 7-10 alberi idonei per ettaro:
Meschede e Heller, 2002; Schriftenreihe für Landschaftspflege und Naturschutz, 66,
Bundesamt für Naturschutz, Bonn-Bad Godesberg, 374 pp.; disponibile anche in francese su: Le Rhinolophe, 16,
2003, 248 pp.).
Il rilascio di alberi a tempo indefinito è stato finora considerato un adempimento marginale e/o
discrezionale da parte delle Amministrazioni: molte Regioni non hanno ancora recepito la disposizione e, quelle
che l’hanno fatto, hanno adottato provvedimenti scarsamente efficaci sotto il profilo ecologico, prevedendo
il rilascio di alberi in numero insufficiente e non selezionati in funzione del valore ecologico. Al di là
dei confini regionali, si auspica dunque che la proposta formulata (aperta a ogni critica costruttiva) possa
contribuire all’ adeguamento dei Regolamenti già esistenti e al varo di nuove normative più
attente alle problematiche ecologiche accennate.
Per una trattazione piú tecnica dei medesimi aspetti si rimanda al contributo presentato dal CRC al Secondo Convegno Italiano sui Chirotteri (Serra S. Quirico, AN, 21-23/11/08), scaricabile cliccando Rilascio alberi a tempo indefinito.
La collocazione sugli alberi di rifugi artificiali (bat box), talora suggerita come rimedio alla carenza
di rifugi arborei naturali, non dev’essere mai considerata un’alternativa alla conservazione dei
rifugi naturali e alle azioni volte a incrementare la disponibilità dei medesimi. Un albero idoneo ad
accogliere chirotteri svolge una serie di altre preziose funzioni ecologiche, che una bat box non può
garantire.
Il ricorso alle bat box forestali ha pertanto una coerenza solo se rappresenta una misura integrativa
nell’ambito di interventi di gestione forestale che tengano conto del medio e lungo termine, mirando a
ripristinare la disponibilità naturale di rifugi, oppure se la finalità è quella di studio e
monitoraggio dei chirotteri. A quest’ultimo scopo, le bat box possono rappresentare un valido
ausilio.
Misure gestionali mirate dovrebbero altresì essere predisposte per la conservazione
e il ripristino di quelle formazioni di vegetazione paraforestale (siepi pluristratificate, bordure vegetazionali
arboreo-arbustive presso zone umide) che costituiscono elementi di connettività ambientale,
facilitando gli spostamenti dei chirotteri a raggio breve (spostamenti fra rifugi e aree di foraggiamento) e
lungo (migrazioni). Al riguardo va rimarcato come i cosiddetti interventi di “pulizia” di alvei e
sponde fluviali, motivati da esigenze di sicurezza nel caso di eventi meteorologici estremi, siano
prevalentemente irrilevanti a tale scopo, ma certamente molto dannosi per gli effetti sugli ecosistemi terrestri ed
acquatici.
Per riferimenti circa le tecniche di ricostituzione e gestione degli elementi citati si veda:
www.centroregionalechirotteri.org/agr.php
ALBERI DA DESTINARE ALL’INVECCHIAMENTO A TEMPO INDEFINITO
(bozza di articolo proposta per l’inserimento nel Regolamento forestale della
Regione Piemonte)
1. Ai fini del mantenimento e dell’incremento della biodiversità, sia nelle fustaie sia nei
cedui, sono obbligatori l’individuazione e il rilascio per l’invecchiamento indefinito di
almeno 2 alberi ogni 2500 metri quadrati o loro frazione di bosco soggetto a utilizzazione. Gli alberi
possono essere rilasciati a gruppi. L’obbligo del rilascio sussiste anche nel caso di taglio a raso
delle fustaie o dei cedui.
2. Gli alberi rilasciati sono contrassegnati a cura dell’utilizzatore con un bollo di vernice
gialla indelebile o mediante apposito contrassegno con numerazione progressiva fornito dall’ente
forestale.
3. Gli alberi rilasciati per l’invecchiamento possono essere vivi o morti, e sono scelti secondo i
criteri e le procedure sottoelencati, in ordine decrescente di priorità (la lettera “a”
costituisce la scelta in assoluto prioritaria).
-
Alberi che appartengono a specie autoctone e proprie della flora del luogo e che presentano
cavità realizzate dai picchi per la nidificazione. Fra gli esemplari che soddisfano tali criteri
scegliere quelli di maggior diametro. In caso di diametri simili, dare priorità nella scelta
agli esemplari del genere Quercus o appartenenti ad altre specie ad accrescimento lento e,
applicato tale criterio, agli esemplari nati da seme. I castagni (Castanea sativa) non
rientrano in questa categoria di scelta.
-
Alberi che appartengono a specie autoctone e proprie della flora del luogo, caratterizzati da
diametro superiore a 25 cm e che presentano elementi quali: fessure profonde (con parete interna non
direttamente visibile) causate da agenti atmosferici o altri eventi traumatici; lembi di corteccia
sollevata; fori di uscita di grossi insetti xilofagi o cavità di altra origine naturale che
abbiano dimensione inferiore pari ad almeno 15 mm. Fra gli esemplari che soddisfano tali criteri
scegliere quelli di maggior diametro. In caso di diametri simili, dare priorità nella scelta
agli esemplari del genere Quercus o appartenenti ad altre specie ad accrescimento lento e,
applicato tale criterio, agli esemplari nati da seme. I castagni (Castanea sativa) non
rientrano in questa categoria di scelta.
-
Alberi che appartengono a specie autoctone e proprie della flora del luogo. Fra gli esemplari che
soddisfano tali criteri scegliere quelli di maggior diametro. In caso di diametri simili, dare
priorità nella scelta a quelli del genere Quercus o appartenenti ad altre specie ad
accrescimento lento e, applicato tale criterio, agli esemplari nati da seme. I castagni (Castanea
sativa) non rientrano in questa categoria di scelta.
-
Castagni (Castanea sativa) che presentano cavità realizzate dai picchi per la
nidificazione. Scegliere gli esemplari di maggior diametro e, in caso di diametri simili, dare
priorità nella scelta a quelli nati da seme.
-
Castagni (Castanea sativa) caratterizzati da diametro superiore a 25 cm e che presentano
elementi (cavitazioni, fessure, cortecce sollevate) del tipo specificato alla lettera b. Fra gli
esemplari che soddisfano tali criteri scegliere quelli di maggior diametro e, in caso di diametri
simili, dare priorità nella scelta a quelli nati da seme.
-
Castagni (Castanea sativa) di diametro maggiore. Fra esemplari con diametri simili dare
priorità nella scelta a quelli nati da seme.
-
Alberi di specie autoctone italiane, ma non appartenenti alla flora del luogo (ad es. conifere
autoctone italiane in aree caratterizzate da vegetazione naturale potenziale a latifoglie) e che
presentano cavità realizzate dai picchi per la nidificazione. Fra gli esemplari che soddisfano
tali criteri scegliere quelli di maggior diametro e, in caso di diametro simile, dare priorità
agli esemplari nati da seme.
-
Alberi di specie autoctone italiane, ma non appartenenti alla flora del luogo (ad es. conifere
autoctone italiane in aree caratterizzate da vegetazione naturale potenziale a latifoglie),
caratterizzati da diametro superiore a 25 cm e che presentano elementi (cavitazioni, fessure,
cortecce sollevate) del tipo specificato alla lettera b. Fra gli esemplari che soddisfano tali
criteri scegliere quelli di maggior diametro e, in caso di diametro simile, dare priorità agli
esemplari nati da seme.
-
Alberi di specie autoctone italiane, ma non appartenenti alla flora del luogo (ad es. conifere
autoctone italiane in aree caratterizzate da vegetazione naturale potenziale a latifoglie),
caratterizzati dal maggior diametro fra quelli presenti e, in caso di diametro simile, con
priorità per gli esemplari nati da seme.
4. Gli alberi rilasciati e i loro rami non possono essere tagliati o rimossi, neppure se caduti al suolo.
5. Una volta che un albero destinato all’invecchiamento indefinito sia caduto al suolo, un
ulteriore albero della parcella dovrà essere rilasciato per l’invecchiamento indefinito,
secondo i criteri espressi al punto 3.
6. Gli alberi rilasciati sono conteggiati nel novero delle matricine e delle riserve.
7. In caso di presenza predominante di alberi di specie alloctone o autoctone, ma estranee alla flora del
luogo, fatti salvi gli impianti di arboricoltura da legno, dopo l’utilizzazione l’area
dovrà essere lasciata alla naturale evoluzione del bosco oppure dovrà essere gestita con la
finalità di ricostituire una formazione forestale naturaliforme, caratterizzata dalla flora tipica
del luogo. Nelle utilizzazioni successive si procederà al rilascio di esemplari
all’invecchiamento a tempo indefinito secondo le modalità enunciate ai punti precedenti.
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